MOSTRA DELL’OPERETTA AD ABBAZIA
TU CHE M’HAI PRESO IL CUOR
Da Trieste e Abbazia all’Europa
La parte della mostra, dedicata al Festival di Abbazia negli Anni Trenta, è il frutto di approfondite ricerche di documenti ed immagini presso i vari archivi e musei che conservano i materiali dell’epoca. Molto purtroppo è andato distrutto in un incendio che, alla fine degli anni ’80, bruciò parte della memoria storica e documentaristica dell’Azienda di Soggiorno di Abbazia. Quel poco che si è recuperato andrà ad aggiungersi alla mostra storica dell’operetta “Tu che m’hai preso il cuor” che l’Associazione Internazionale dell’Operetta, con la collaborazione del Civico Museo Teatrale Carlo Schmidl del Comune di Trieste, realizzò nel lontano 1995 e ripropose nel 2009 in una veste aggiornata. Era stata fortemente voluta, pensata e realizzata dal fondatore dell’Associazione, Danilo Soli, recentemente scomparso, che per lungo tempo è stato la memoria storica dell’operetta e del suo festival nella città giuliana. Il Museo Croato del Turismo di Abbazia la ospiterà nel Padiglione d’Arte Juraj Šporer, con la collaborazione della Comunità degli Italiani di Abbazia, dell’Archivio di Stato di Fiume e con il supporto della Regione Friuli Venezia Giulia, con il sottotitolo “L’operetta da Trieste e Abbazia all’Europa”.
La mostra sarà inaugurata l’11 luglio prossimo e sarà visitabile fino al 30 luglio, tutti i giorni dalle 10 alle 22, ad ingresso libero.
Al termine dell’inaugurazione i cantanti Ilaria Zanetti e Andrea Binetti con al pianoforte Corrado Gulin proporranno un concerto, che percorrerà le arie più note delle famose operette che andarono in scena in quegli anni di festival, tra cui “Maine Lippen” da Giuditta di Lehár, “Vien Tzigan” da Contessa Maritza di Kálmán e l’ “Aria di Sigismondo” dal Cavallino bianco di Stolz. Concluderà la serata un momento conviviale organizzato dalla Comunità degli Italiani di Abbazia.
Un’orchestra di settanta elementi, il noto tenore Richard Tauber e a dirigere Franz Lehár sono gli ingredienti di grande successo per l’apertura della prima edizione del Festival dell’Operetta di Abbazia. Se si esclude il grande festival di Bad Ischl, che aveva luogo già dall’800, anche perché residenza estiva prediletta della corte imperiale asburgica, Abbazia rappresenta un esempio unico per l’epoca. E’ il 27 luglio 1935 e su un palcoscenico riccamente allestito la prima di Giuditta riscuote un enorme successo. La giovane Käthe Walter, nei panni di Giuditta, ottiene “vivissimi applausi” come riporta Il Piccolo di Trieste, che scrive anche “Tauber ha cantato per la prima volta in Italia. Alla rara bellezza del timbro, al caldo accento drammatico, alla deliziosa carezza del fraseggio, unisce un temperamento forte e spontaneo”. Già il 26 maggio era apparso sui maggiori giornali italiani ed esteri, tra cui, il Corriere della Sera, La Stampa di Torino, la Gazzetta del Mezzogiorno di Bari, La Vedetta d’Italia di Fiume, il Popolo di Roma, Il Piccolo di Trieste, Der Abend di Vienna, Nemzeti Ujsag e Figyelo di Budapest, il programma del festival, interamente dedicato a Franz Lehár: Giuditta, il 27 e 28 luglio, e poi Il Paese del Sorriso, il 30 e 31 luglio, e ancora Federica, il 3 e 4 agosto. Direttore della manifestazione era Renato Mordo, un viennese di origini triestine. L’Agenzia letteraria artistica pubblicò “I giornali dell’estero rilevano l’importanza di questa manifestazione di classe e sottolineano il significato che essa acquista nello sviluppo sempre più intenso dei rapporti culturali ed artistici tra l’Italia e l’Austria”. In realtà era impossibile prescindere dall’operetta viennese e in particolare dalle composizioni di Lehár; ad Abbazia, a Trieste e Fiume, a Pola il gusto musicale era quello, anche se al tempo il governo di Mussolini avrebbe preferito la piccola lirica di compositori italiani. Intanto si vendono i biglietti, aumentano i collegamenti delle autocorriere e dei treni e si istituisce persino una linea aerea tra Trieste e Abbazia. Gli spettatori giungevano anche dalla vicina Sussak, la città croata oltre il ponte sulla Fiumara che la divideva da Fiume, a conferma che l’operetta faceva parte della cultura del territorio, senza distinzioni nazionali o linguistiche. Negli alberghi si registravano presenze eccellenti dell’epoca da tutto il mondo, i botteghini furono letteralmente presi d’assalto e il 30 luglio Il Paese del Sorriso doveva essere trasmesso in diretta alla Radio, sennonché una terribile bufera determinò l’interruzione dello spettacolo che fu riproposto il 1° agosto. Franz Lehár dichiarava intanto al Corriere Istriano di Pola: “Attendo con gioia questa manifestazione di Abbazia ben convinto che per l’eccezionale complesso artistico e lo sfarzo della messa in scena gli spettacoli assurgeranno ad un’attrattiva non comune a cui arriderà un successo indimenticabile.
“Due torri quadrangolari alte 6 metri e aventi, ad ogni lato uno scenario corrispondente. Fra le due torri un’apertura di circa 12 metri donde gli artisti potranno avanzare sino alla ribalta che avrà una lunghezza di 18 metri. Durante alcune scene singole saranno proiettati, sul palcoscenico, schermi opportunamente decorati sì da provocare suggestivi giochi di ombre sullo sfondo” così molta stampa riportava la descrizione dell’allestimento faraonico del Teatro all’Aperto del Parco di Villa Angiolina, dove avrebbe avuto luogo il Festival tra il 1935 fino allo scoppio della guerra.
Torniamo allora a quegli anni Trenta vissuti ad Abbazia con grande sfarzo e divertimento mondano. Nell’estate del 1936 infatti la magia si ripete con Emmerich Kálmán. “Sono in procinto di recarmi ad Abbazia con un complesso artistico di classe e intendo assicurare di dare tutta la mia fervida cooperazione perché questo secondo festival dell’operetta ottenga il suo massimo rilievo e la sua imponenza, sì da soddisfare appieno le esigenze artistiche del colto e intelligente pubblico italiano – così dichiara il compositore ungherese alla stampa”. Il 29 luglio il Festival apre con la premiere de “L’imperatrice Giuseppina”, ad assistervi trenta direttori dei maggiori teatri austriaci ed ungheresi. Per l’occasione Kálmán ingaggia il tenore Igo Guttman, grande interprete di Verdi, e la cantante Rita Georg. A lei in realtà il pubblico predilige la soubrette Rita Wotawa, nei panni della Duchessa di Aguillon, perché Kálmán aveva furbescamente inserito refrein orecchiabilissimi per comico e soubrette. In scena andarono oltre 350 costumi ad impreziosire un’operetta, l’ultima che il compositore ungherese scrisse prima di scappare in California perché di origini ebree, stessa sorte anche per la Georg, che si rifugerà in Canada. Il 1° agosto debuttò “Contessa Maritza”, grande capolavoro di Kálmán, applaudita Sonia von Lewkova nel ruolo di Lisa, sorella del conte Tassilo, e il tenore Hans Eich. “Il cavaliere del diavolo” (5 e 6 agosto) fu in assoluto l’operetta che piacque di più quell’estate, Kálmán l’amava particolarmente, era considerata la più ungherese delle sue composizioni. Dominatrice della rappresentazione risultò Louise Leoff nel ruolo della ballerina Miramonti, benché in scena ci fossero da protagonisti cantanti del calibro di Rita Georg, Claire Fuchs-Kaufmann e Hans Eich. Quarta e ultima operetta rappresentata al festival fu “la Principessa della csardas”, l’8 e il 9 agosto, che vide Rita Wotawa nei panni di Stasi e protagonista il tenore praghese Arno Velezky. Anche questa edizione del festival si era conclusa con il tutto esaurito ad ogni recita. Ed un’altra volta, nonostante i richiami scritti delle autorità, non venne inserita nessuna operetta italiana al Festival di Abbazia. “Alla ricerca di un’operetta italiana” reca in chiare lettere il titolo dell’articolo su Il Messaggero di Roma a firma di Matteo Incagliati il 30 agosto 1936. Ma dovremo attendere il 1938 per un tanto.
Nel frattempo nell’estate 1937 vengono effettuati grandi lavori per rendere ancora più spettacolari le scene. Viene infatti costruito un palcoscenico girevole, come scrive “Il Popolo” del 5 agosto: “Un particolare degno di considerazione sarà dato dalle innovazioni tecniche apportate quest’anno alla scena … La piattaforma girevole avrà un diametro di 10 metri e divisa in tre spicchi, potrà contenere contemporaneamente tre scenari per tre diversi quadri”. Gli organizzatori propongono tre operette di autori diversi: il 7 e 8 agosto va in scena Casanova di Ralph Benatzky su musiche di Johann Strauss, il 12 e 14 agosto Al Cavallino bianco di Ralph Benatzky, Robert Stolz e Robert Gilbert, conclude Ballo al Savoy (titolo italianizzato in Savoia) di Paul Abraham. Direttore dell’orchestra Walther Hahn e regista Emil Schwarz. Casanova si rivela essere l’operetta giusta per Abbazia, per il suo alto contenuto spettacolare. Si scrive infatti “Un grande spettacolo, degno di essere ricordato negli annali del festival come un modello della perfezione e dell’arte cui può assurgere una rappresentazione di operetta, quando essa sia intesa con elevato criterio estetico pur senza perdere di quella gaiezza gioconda e di quel brio che ne sono l’indispensabile condimento”. Cinque primedonne, quattro comici, baritono, tenore, buffo e uno stuolo di comprimari, un corpo di ballo di 50 elementi e l’orchestra, uno splendore di costumi sfavillanti e scenari montati su palcoscenico girevole. Il tenebroso baritono Georg Monthy, nel panni del Casanova, mostrò “voce brunita ed ottima scuola di canto”. Il maggior successo andò alla soubrette Lotte Menas, “briosa e spumeggiante”. Al Cavallino bianco era ormai un’operetta famosa, aveva debuttato nel 1930, e non potè che riscuotere grandi consensi anche nella perla del Carnaro, portandovi tutto il sapore del Salzkammergut. La vera novità dell’edizione 1937 fu però Ballo al Savoy di Paul Abraham. La coppia comica Daisy Parker e Mustafà Bey, interpretata dal duo Lotte Menas – Jozsef Sziklay, suscitò consensi esaltanti. La stampa riportava “Per armonie di tinte, scioltezza e fusione di movimento, per leggerezza delle danze, le scene di “Ballo al Savoy” resteranno nel ricordo del pubblico fra le più belle ammirate ad Abbazia ed è stato il successo più caloroso e cordiale di questo 3° Festival”.
Nel 1938 per ideare le scene fu assoldato Acconaro, famoso per la sua attività alla Scala di Milano. I 1200 costumi invece furono commissionati alla casa Altay di Budapest. La “premiere” fu affidata a Sì di Pietro Mascagni, l’unica operetta italiana in tutte le stagioni del Festival di Abbazia. L’avvocato Barbieri, organizzatore delle varie edizioni in qualità di presidente dell’Azienda di Soggiorno di Abbazia, sapeva benissimo che solo la risonante presenza di Mascagni in riva al Carnaro, avrebbe consentito all’operetta un certo successo. A questo si aggiunge che il direttore artistico Gruder-Guntram e il regista Schulz-Breiden infusero un certo stile viennese allo spettacolo, trasformando gli artisti italiani in sorprendenti cantanti-attori. Pietro Mascagni sedette in prima fila e le cronache mondane con lui presente andarono a nozze. Il 4 agosto, giorno dopo il debutto sui giornali si scriveva “apprezzatissimo il programma ufficiale, compilato con molto buon gusto e contenente un sunto delle operette in quattro lingue” e ancora “peccato soltanto che il libretto non sia all’altezza del musicista e sopra tutto che non sia stato almeno sveltito e aggiornato un po’ alle esigenze del gusto odierno”. L’operetta fu replicata il 7 agosto, ebbe molto successo la cantante Alda Mangini. Il secondo titolo in programma Lo Zingaro Barone piacque molto al pubblico del melodramma, l’operetta di Johann Strauss era ormai un classico, andò in scena l’11, il 13 e il 15 agosto. Ebbe grande successo Giulietta Simionato, che poi avrà una grande carriera alla Scala, solo dopo il crollo del regime fascista che non la sosteneva. Fu la migliore amica di Maria Callas e memorabile resta il loro duetto del 1957 in Anna Bolena di Donizetti. Sulla stampa però si annotava “… le grandi difficoltà che gli organizzatori dovettero affrontare dal lato artistico. Prima fra queste quella di presentare in lingua italiana un’opera che così tipicamente rispecchia l’ambiente del paese in cui è nata” e del tenore wagneriano Ettore Parmeggiani si scrisse “a parte la maestria del fraseggio o la dizione di esemplare chiarezza, la sua ugola d’oro ha vibrato qui ancora di squilli di metallica risonanza, di accenti di calda sonorità…”. Roxy fece ad Abbazia il suo esordio, l’operetta di Paul Abraham portava in scena l’ungherese Rosy Barsony, la stessa soubrette che nell’estate del 1955 infiammerà la caldera dei 10.000 spettatori stipati sugli spalti del Castello di San Giusto a Trieste. ”Un’esecuzione che è stata un capolavoro di realizzazione scenica” si scriveva sui giornali e della Barsony si diceva “ha mandato in visibilio anche con la sua flessuosa elasticità e la morbida leggerezza di danzatrice moderna”. Il 16 agosto sul Piccolo appariva questo titolo “Un originale concerto di giazzo (Jazz italianizzato) e danze chiuderà oggi il Festival dell’Operetta” in scena Rosy Barsony, sul palco a dirigere Paul Abraham.
Il 20 gennaio 1939 il senatore Riccardo Gigante, presidente dell’Ente provinciale per il Turismo di Fiume scrive, anche per conto del Prefetto Temistocle Testa, a Remigio Paone della ERREPI di Milano, società incaricata di realizzare i vari spettacoli, che la commissione istituita per predisporre il programma estivo ha rilevato tra l’altro che l’operetta proposta “Il Venditore di Uccelli”con il cantante Ettore Parmeggiani risulta troppo antiquata per Abbazia e sarebbe più opportuno invece ricorrere nuovamente alla direzione di Lehár, che non si ritiene opportuno portare la Barsony, nelle Nozze polacche di Beer a solo un anno di distanza dalla sua precedente presenza al Festival. Non è dato avere altre informazione e dal materiale ritrovato non risulta che si sia celebrato il Festival in quell’estate, né che sia stata allestita alcuna operetta.
Il 30 giugno 1940 il ministro della cultura popolare Alessandro Pavolini scrive a S.E. Ettore Muti, segretario del Partito Nazionale Fascista, “è pervenuto al mio ministero il progetto per le manifestazioni all’aperto di Abbazia. Poiché tutte le manifestazioni all’aperto sono sospese, il progetto è ormai superato e la sovvenzione deliberata decade”. D’altronde il 25 maggio il sen. Gigante gli aveva mandato una nota che tra l’altro riportava le seguenti considerazioni “La grave contrazione del movimento turistico degli ultimi due anni, dovuta a fattori politici, razziali, valutari, nonché all’entrata in vigore del R.D.L. 24.11.1938 n. 1926, relativo al nuovo ordinamento dell’imposta di soggiorno, hanno fatto notevolmente diminuire il gettito delle tasse turistiche che rappresentano l’unica fonte di entrata dell’Azienda”. Il ministro accordò un contributo straordinario di 160.000 lire per appianare il disavanzo della stagione precedente.
Con questo atto termina la straordinaria e favolosa esperienza del Festival d’Operetta di Abbazia. Densi fumi e frastornanti rombi di guerra si affacciano in Europa e anche sul Carnaro. Si riprenderà la festa nell’estate del 1950 al Castello di San Giusto, in una Trieste sotto occupazione del Governo Militare Alleato.
La Mostra Storica dell’Operetta “Tu che m’hai preso il cuor” propone un migliaio di immagini: vecchie fotografie di artisti e di scena, locandine e programmi, frontespizi illustrati di libretti e spartiti, documenti e autografi, cartoline d’epoca, bozzetti per le scene e i costumi, medaglie – tutte copie di originali conservati al Civico Museo Teatrale “C. Schimidl”, a cui si aggiunge il materiale ulteriormente raccolto da collezionisti privati e con i prestiti del Teatro Lirico“G.Verdi”.
Uno spazio è dedicato per l’occasione, alle immagini provenienti dal Festival di Abbazia che, esauritosi con l’inizio della seconda guerra mondiale, non fu mai ripreso. Gli organizzatori del festival triestino nel 1950 avevano ben in mente quello che era stata quella straordinaria esperienza nella perla dell’Adriatico e ad essa si ispirarono. I risultati sono ben visibili nella parte della mostra dedicata ai quarant’anni di Festival dal 1950, anno della sua prima edizione al Castello di San Giusto, fino all’ultimo documentato del 2008. Tante locandine e foto di questi sessant’anni per ripercorrere il cambiamento di un gusto, che nell’ultima fase vedrà emergere, ancora timidamente il moderno musical, con Can Can di Cole Porter e uno scatenato Sette spose per sette fratelli con un danzatore degno di Gene Kelly, Raffaele Paganini, per citarne alcuni, senza dimenticare artisti del calibro di Rose Barsony, Marta Eggerth e Jan Kiepura, negli anni ‘50, direttori d’orchestra della qualità di Cesare Gallino, ma anche protagonisti indimenticabili come Sandro Massimini che calcò per la prima volta le scene di Trieste, proprio in quel famoso 1970 al ritrovato Rossetti.
In una prima parte della mostra trovano collocazione le immagini e i documenti che vanno da metà Ottocento circa alla seconda guerra mondiale. Avvenimenti di rilievo come la contestata prima de La vedova allegra al Teatro Filodrammatico nel 1907, le presenze di Lehár, Suppé e Kálmán, a Trieste, che si accostano alle esibizioni di artisti di fama europea (Mila Theren e Richard Tauber, Gea della Garisenda e Ines Lidelba, Amalia Soarez ed Emma Vecla) e ad una vivacità anche editoriale: si pensi allo Schmidl che pubblica le prime musiche di Lehár per banda e Sangue triestin. Decine se non centinaia di rappresentazioni ogni anno nei vari tanti teatri, il Fenice in particolare, che pubblicano i libretti di operette famose. Trieste diviene subito il luogo deputato dell’operetta e trova nella prestigiosa figura di Mario Nordio l’uomo simbolo del rapporto profondo tra Lehár, la città di Trieste e l’operetta. Egli è il primo geniale traduttore di Lehár in occasione della prima rappresentazione in Italia di Clo-Clo nel 1924 e da allora egli diviene, per volontà di Lehár, il traduttore esclusivo delle sue operette. Sarà anche ad Abbazia con il maestro ritratto nelle foto d’archivio.
Concludono la mostra le immagini che documentano l’attività dell’Associazione Internazionale dell’Operetta, dall’anno 1992 di fondazione ai giorni nostri: i due Premi, l’Internazionale dell’Operetta, giunto a quota ventidue, e il Massimini arrivato alla decima edizione, le tante iniziative, gala, concerti e produzioni di questi anni.
Rossana Poletti
articolo pubblicato su PANORAMA (Edit)